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ABBONAMENTO BERGAMO JAZZ

BOBBY WATSON Quintet (1° set) / FAMOUDOU DON MOYE “Plays Art Ensemble of Chicago” (2° set)

BOBBY WATSON Quintet BOBBY WATSON sax alto WALLACE RONEY JR tromba JORDAN WILLIAMS pianoforte CURTIS LUNDY contrabbasso VICTOR JONES batteria Non è facile trovare un aggettivo che descriva adeguatamente uno come Bobby Watson, veterano di mille battaglie musicali, apparso prepotentemente sulle scene sul finire degli anni Settanta, quando, dal 1977 e fino al 1981, ha fatto parte dei Jazz Messengers di Art Blakey. Della band del grande batterista, considerata l’università del jazz per antonomasia, è stato anche direttore musicale, imprimendovi la propria verve e mettendosi in piena luce sia come solista che come compositore. Da allora la sua carriera si è snodata tra svariate altre collaborazioni, numerose incisioni realizzate nelle vesti di leader, diverse delle quali realizzate per l’italiana Red Records (Appointment in Milano, Round Trip, Love Remains, tra le altre), e formazioni di varia foggia tra cui il notevole 29th Street Saxophone Quartet. Ovunque il sassofonista di Lawrence, Kansas, dove è nato nel 1953, ha lasciato il segno della propria espressività, forgiata nel solco della più schietta scuola di estrazione boppistica ma tutt’altro che priva di personalità. Oggi, superata da poco la soglia dei 70 anni, Bobby Watson può essere considerato un “classico”, ma nelle sue vene continua a scorrere un flusso di energia che lo mantiene ai vertici del sassofonismo contemporaneo. Del quintetto con il quale si presenta per la prima volta a Bergamo Jazz, fanno parte musicisti di vasta esperienza come il contrabbassista Curtis Lundy e il batterista Victor Jones, e giovani talentuosi come il pianista Jordan Williams e il trombettista Wallace Roney Jr, vero figlio d’arte, nato dal matrimonio tra i compianti Wallace Roney e Geri Allen. FAMOUDOU DON MOYE “Plays Art Ensemble of Chicago” 50th Anniversary: The Bergamo Concert FAMOUDOU DON MOYE batteria e percussioni MOOR MOTHER voce, spoken words, electronics EDDY KWON violino SIMON SIEGER pianoforte e trombone JUNIUS PAUL contrabbasso e basso elettrico DUDÙ KOUATE voce, african percussion, water pumpkins drums, talking drum, ‘ngoni Era il 20 marzo del 1974 quando l’Art Ensemble of Chicago tenne al Teatro Donizetti uno dei suoi primi concerti italiani. Un concerto passato alla storia del festival jazz di Bergamo, ma non solo. Un concerto che ebbe sul pubblico e tra gi addetti ai lavori un effetto dirompente, provocando animate discussioni i cui echi non sono mai del tutto svaniti, pur via via mitigati dal trascorrere del tempo. E in concomitanza con la ricorrenza del 50esimo anniversario di quel concerto, Famoudou Don Moye torna a calcare il palcoscenico del Donizetti per rendere omaggio a coloro con i quali ha condiviso l’esperienza dell’Art Ensemble of Chicago, a Lester Bowie, a Joseph Jarman, a Malachi Favors, componenti, insieme a Roscoe Mitchell e allo stesso batterista e percussionista, di una delle formazioni più longeve e creative dell’intera storia del jazz.  Il tutto nel solco di quel rituale sonoro dal forte potere evocativo che Don Moye ripropone in modo personale reinterpretando e plasmando la musica dell’Art Ensemble attraverso il suo straordinario vissuto e valorizzando il progetto stesso con la presenza e l’apporto di

BOBBY WATSON Quintet (1° set) / FAMOUDOU DON MOYE “Plays Art Ensemble of Chicago” (2° set)2024-02-29T17:49:15+01:00

JOHN SCOFIELD “Yankee Go Home” (1° set) / MIGUEL ZENÓN Quartet (2° set)

JOHN SCOFIELD “Yankee Go Home” featuring VICENTE ARCHER, JON COWHERD & JOSH DION JOHN SCOFIELD chitarra JON COWHERD pianoforte VICENTE ARCHER contrabbasso JOSH DION batteria Alla quinta apparizione a Bergamo Jazz, sempre con gruppi diversi, la prima nel 1991 con il quartetto in cui militava Joe Lovano e l’ultima nel 2013 in trio con Larry Goldings e Greg Hutchinson, John Scofield propone questa volta un suo viaggio personale tra la musica a stelle e strisce. Da qui il nome del quartetto, che in modo un po’ autoironico ma anche affettuoso gioca con la parola “yankee”. «Questa band suona roots-rock-jazz, se devo necessariamente definire la musica che suoniamo, anche se detesto farlo!», racconta lo stesso chitarrista originario di Dayton, Ohio, «Il concetto è quello di proporre cover di brani rock e folk iconici, oltre ad alcune mie composizioni scritte partendo da queste musiche. È un modo per riconnettermi con le mie radici di quando ero adolescente, naturalmente ora intrise dei miei 50 anni di pratica jazzistica». E sui tre partner che lo coadiuvano in questa avventura dice: «Sono musicisti straordinariamente versatili, capaci anche di interagire tra loro. Insieme esploriamo il rock, il funk, il country, il jazz e ci divertiamo moltissimo a farlo. Sono entusiasta di questa band!». Per dare un’idea, ecco un po’ dei pezzi che Scofield e i suoi amano suonare: “Old Man” e “Only Love Can Break Your Heart” di Neil Young, “The Creator Has A Master Plan” di Pharoah Saunders, uno dei portabandiera dello spiritual jazz, “Uncle John's Band” e “Estimated Prophet” dei Grateful Dead, “Somewhere” di Leonard Bernstein, “Jesus Children of America” di Stevie Wonder, “Not Fade Away” di Buddy Holly, “The Grand Tour” del countryman George Jones. Alcuni di questi brani fanno anche capolino nell’ultimo album registrato da John Scofield per ECM, Uncle John's Band, disco che prende il nome proprio dal celebre brano del gruppo di Jerry Garcia e nel quale compare lo stesso Vicente Archer, insieme al batterista Bill Stewart. A far da collante, nel disco come dal vivo, è in ogni caso lo stile inconfondibile, dalle palpabili venature bluesy, di uno dei giganti della chitarra jazz di oggi. MIGUEL ZENÓN QUARTET MIGUEL ZENÓN sax alto LUIS PERDOMO pianoforte HANS GLAWISCHNIG contrabbasso DAN WEISS batteria Sul palcoscenico del Teatro Donizetti ci è già salito una volta, nel 2010 insieme al San Francisco Jazz Collective, quando era ancora un talento emergente. Ora Miguel Zenón si presenta nelle vesti di autorevole leader di un rodato quartetto che è tra le punte di diamante della attuale scena del latin jazz, ma non solo. Nato e cresciuto a San Juan, capitale di Porto Rico, Miguel Zenón è oggi, infatti, uno dei maggiori contraltisti in circolazione, nel cui fraseggio fluente si rileva una profonda conoscenza del linguaggio jazzistico, e nella sua musica c’è un po’ tutto il patrimonio delle musiche d’America. Non a caso uno dei suoi album più riusciti si intitola Música de Las Américas, a simboleggiare una sintesi tra suoni e ritmi nati in luoghi

JOHN SCOFIELD “Yankee Go Home” (1° set) / MIGUEL ZENÓN Quartet (2° set)2024-03-23T14:26:35+01:00

ABDULLAH IBRAHIM piano solo (1° set) / MODERN STANDARDS SUPERGROUP (2° set)

ABDULLAH IBRAHIM piano solo ABDULLAH IBRAHIM pianoforte Torna a Bergamo, a distanza di quasi 50 anni dalla prima precedente esibizione, uno dei simboli della musica sudafricana e della lotta contro l’Apartheid a suon di musica. Nato a Città del Capo il 9 ottobre del 1934, Abdullah Ibrahim, che all’epoca era noto con il nome di Dollar Brand, suonò al Teatro Donizetti la prima sera dell’edizione 1975 del festival conquistando il pubblico con quella forza evocativa che anche oggi pervade la sua musica. La sua biografia è illuminante del percorso artistico e umano di cui il pianista è stato protagonista. Emerso alla fine degli anni Cinquanta prima con un proprio trio e poi con i Jazz Epistles, formazione seminale del jazz sudafricano di cui faceva parte tra gli altri anche il trombettista Hugh Masekela, scelse poi la via dell’esilio prima in Europa e poi negli Stati Uniti per sfuggire alla discriminazione razziale nel suo Paese. Tra i primi ad accorgersi del suo talento e della profondità della sua musica fu Duke Ellington. Gli anni Sessanta e quindi il decennio successivo, grazie anche ad album quali Ancient Africa e African Piano, lo consacrarono tra le figure preminenti del jazz del periodo. Posizione mantenuta anche successivamente alla guida di gruppi come gli Ekaya. Rientrato in Sudafrica nel 1990, su invito di Nelson Mandela dopo la sua scarcerazione, Abdullah Ibrahim non è venuto mai meno al suo ruolo di vessillo di una musicalità profondamente legata alle proprie radici e portatrice di messaggi universali. Anche in un album recente come Solotude del 2021 si coglie infatti appieno la poetica di un musicista di rara sensibilità. MODERN STANDARDS SUPERGROUP featuring ERNIE WATTS, NIELS LAN DOKY, FELIX PASTORIUS, HARVEY MASON ERNIE WATTS sassofoni NIELS LAN DOKY pianoforte FELIX PASTORIUS basso elettrico HARVEY MASON batteria Un autentico supergruppo: come recita la stessa intestazione, non si può definire altrimenti il quartetto che schiera quattro carismatiche personalità come Ernie Watts, Niels Lan Doky, Felix Pastorius e Harvey Mason. Un vero poker d’assi, detto in altre parole, ideato nel 2022 (con Bill Evans al sax e Darryl Jones al basso) in occasione di un tour dal quale verrà poi tratto un album nel quale figurano, oltre a composizioni originali, riletture di brani di disparata provenienza, a testimonianza di dove va a parare il concetto di modernità espresso dal quartetto, da “Smells Like A Teen Spirit” dei Nirvana a “Black Hole Sun” dei Soundgarden, da “Dancing Barefoot” di Patti Smith a “Jean Pierre” di Miles Davis. Ernie Watts, il più anziano dei quattro, classe 1945, è uno dei sassofonisti più richiesti sia in ambito jazz che rock e pop: ha militato nel mirabile Quartet West di Charlie Haden, con il quale si è esibito a Bergamo Jazz nel 2000, e nella GRP All Stars Big Band, oltre ad aver suonato in tour con I Rolling Stones e registrato con Frank Zappa (The Grand Wazoo), Earth Wind & Fire, Stanley Clarke, Carole King, Glenn Frey, Steely Dan, Joe Cocker e un’infinità di

ABDULLAH IBRAHIM piano solo (1° set) / MODERN STANDARDS SUPERGROUP (2° set)2024-02-29T17:56:51+01:00
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