Inaugurata con successo lo scorso dicembre con Re Lear è morto a Mosca di César Brie, la rassegna Altri Percorsi della Fondazione Teatro Donizetti ospita giovedì 16 gennaio al Teatro Sociale (ore 20.30) Nell’occhio del labirinto – Apologia di Enzo Tortora, spettacolo che rievoca una delle vicende giudiziarie italiane più controverse e drammatiche del recente passato. Monologo scritto e diretto da Chicco Dossi e affidato alle talentuose doti interpretative di Simone Tudda, segnalato al Premio Hystrio alla Vocazione 2021, Nell’occhio del labirinto – produzione Teatro della Cooperativa, durata 1 ora e 10 minuti senza intervallo – racconta la storia di Enzo Tortora, dal momento in cui il noto presentatore televisivo venne arrestato nella notte del 17 giugno 1983 con l’accusa di associazione camorristica e spaccio di droga. Seguirono anni difficili, tra carceri e tribunali, nei quali Tortora si fece portavoce di una strenua battaglia per la giustizia. Battaglia finita con l’assoluzione e il ritorno alla vita.
Nell’occhio del labirinto è nato quasi per caso: «Dalle parti di Corso Magenta, a Milano, proprio davanti al Teatro Litta, c’è Largo Enzo Tortora. Quasi più una commemorazione che una targa toponomastica – non credo che possieda nemmeno un numero civico – in piccolo, sotto il nome, reca la scritta “giornalista” e le date di nascita e di morte: 1928-1988. Più per curiosità che per senso civico, un giorno, ho deciso di informarmi. Ho scoperto che il “caso Tortora” era ben noto alla generazione di mia madre e assolutamente sconosciuto alla mia», racconta Chicco Dossi sulla genesi del suo spettacolo. La vicenda di Enzo Tortora è passata alla storia come il tipico caso di malagiustizia, «forse ancora più eclatante perché perpetrato ai danni di una persona nota agli italiani, dal momento che il suo volto teneva banco per un’ora e mezza a settimana sulle reti nazionali. Un episodio che assumeva contorni sempre più agghiaccianti, man mano che lo approfondivo: nessuna presunzione di innocenza, accuse mosse senza prova alcuna, magistrati smaniosi di arrestare il “nome grosso” che non leggono gli atti dei processi, blitz antimafia venduti alla stampa ancora prima che avvengano, il tutto ai danni di un uomo totalmente estraneo ai fatti e non associato in alcun modo agli ambienti camorristici. Il caso Tortora non è incredibile soltanto per la crudeltà con cui giudici, stampa e opinione pubblica si sono accaniti nei confronti di un innocente. La storia di Enzo è la storia di un uomo che, dall’alto della sua posizione di personaggio pubblico, ha deciso di farsi portavoce di una battaglia che non ha colore politico: quella della giustizia giusta».
«Il monologo interpretato da Simone Tudda si dipana in una narrazione continua dove la diegesi oltrepassa i confini narrativi per sfociare nel dialogo, risale nel resoconto storico, dove i dati sono sempre raccontati in maniera essenziale per comprendere le vicende, si alterna tra la terza persona di un narratore onnisciente che va a spiare i detenuti del carcere di Forte Longone e la prima persona del giornalista, fino a scavare nella sua interiorità nel momento dell’arresto, provando a immaginare come possa essersi sentito, braccato in piena notte dai carabinieri all’Hotel Plaza di Roma. Iniziano così i suoi anni nell’occhio del labirinto, espressione che vuole unire la claustrofobia di chi non sa quando, e soprattutto se, potrà uscire dalla prigionia fisica e mentale con il voyeurismo giustizialista della stampa che, per una copia venduta in più, non ha esitato a ignorare i fatti per far posto al sensazionalismo più bieco», conclude Chicco Dossi.
Nel calarsi nei panni di Enzo Tortora attraverso il testo dello spettacolo, Simone Tudda – come dichiarato in un’intervista – prova a comprenderne lo smarrimento, confrontandosi «con il burrone, che sfugge sempre, fino all’ultimo. Non a caso, infatti, è alla fine che il testo mi impone una citazione di Enzo, richiedendomi un momento di adesione totale al personaggio, quando ritorna in televisione, nell’edizione di Portobello dell’87. Lì provo a raccogliere 60 minuti di spettacolo, di smarrimento (comunque nulla in confronto a quattro anni di calvario), penso a cosa può avere significato per lui tornare in tv, dire a tutti che l’incubo è finito, lanciare un appello alla giustizia affinché sia effettivamente giusta, per sé e per tutta l’Italia, e condensare tutto questo nella sintesi: “Dunque, dove eravamo rimasti?”».