È L’Avaro il prossimo titolo in cartellone della Stagione di Prosa della Fondazione Teatro Donizetti, in programma nel principale teatro cittadino da sabato 8 a domenica 16 febbraio: la celebre commedia di Molière vedrà nei panni di Arpagone Ugo Dighero, attore noto per ruoli comici, già apprezzatissimo protagonista di opere di Stefano Benni e Dario Fo, che si confronta per la prima volta con un grande classico. Al suo fianco ci saranno: Mariangeles Torres, Fabio Barone, Stefano Dilauro, Cristian Giammarini, Paolo Li Volsi, Elisabetta Mazzullo, Rebecca Redaelli e Luigi Saravo. Quest’ultimo firma la regia.

Giovedì 13 febbraio presso la Sala della Musica “M. Tremaglia” del Teatro Donizetti (ore 18)
è previsto un incontro sullo spettacolo con Ugo Dighero e la compagnia. Coordina Maria Grazia Panigada, Direttrice Artistica della Stagione di Prosa e Altri Percorsi.
Ingresso libero su prenotazione registrandosi al link Eventbrite pubblicato sul sito del Teatro Donizetti.

Nella commedia di Molière si assiste a un epico scontro tra sentimenti e soldi. Il protagonista è disposto a sacrificare la felicità dei figli, pur di non dovere fornire loro una dote e anzi acquisire nuove ricchezze attraverso i loro matrimoni. La regia di Saravo ambienta lo spettacolo in una dimensione che rimanda al nostro quotidiano, giostrando riferimenti temporali diversi, dagli smartphone agli abiti anni Settanta agli spot che tormentano Arpagone (la pubblicità è il diavolo che potrebbe indurlo nella tentazione di spendere il suo amato denaro). Anche le musiche originali di Paolo Silvestri si muovono su piani diversi, mentre la nuova traduzione di Letizia Russo, fresca e diretta, contribuisce a dare al tutto un ritmo contemporaneo.

«La narrazione de L’Avaro di Molière ruota attorno a un tema centrale, cui tutti gli altri si riconnettono: il danaro», scrive Luigi Saravo nelle note di regia, «Il danaro e la sua conservazione, il suo sperpero, il gioco d’azzardo, l’acquisto di beni e il loro degrado che porta all’acquisto di nuovi beni, i prestiti, gli interessi e i rapporti di potere che dal danaro discendono. Nella nostra contemporaneità orientata al consumo, definita dalla necessità di far circolare il danaro inseguendo una crescita economica infinita, il gesto conservativo e immobilista di Arpagone, dal punto di vista finanziario, ci suona come sovversivo, in netta opposizione alla tirannia consumistica, alla pubblicità che ne è motore, e a quella patologia del desiderio che vede nella sostituzione il suo fondamento. Se analizziamo il fulcro del testo, ovvero il conflitto tra Arpagone e il suo entourage, ci troviamo di fronte al conflitto di due visioni economiche: una consumistica di stampo capitalistico novecentesco e una, relativamente nuova, conservativa, che si oppone al consumo e si orienta alla conservazione dei beni, al loro riutilizzo, al loro scambio e, infine, alla protezione di essi, primi tra tutti quei beni definiti come “beni naturali”. Non vogliamo dire che Arpagone sia un eroe positivo, che sia mosso da una spinta ideologica, ma, senz’altro, che con la sua attitudine si ponga chiaramente in opposizione all’economia capitalistica novecentesca e più in linea con la visione conservativa».

«Intorno a lui si muovono gli altri personaggi, apparentemente vittime della sua tirannia, ma, in realtà, figure votate a ideali ben riconoscibili in questo slittamento di contesto. Queste figure lamentano la loro prigionia, la loro sottomissione forzata alle volontà di Arpagone, ma in realtà sono sottomesse soprattutto al vincolo economico che le lega a lui, potenzialmente capaci di sottrarsi a quella tirannia abbandonando la casa e gli averi promessi da eredità e salari.
E in ultimo, per dirla con Voltaire: gli uomini odiano coloro che chiamano avari solo perché non ne possono cavar nulla», conclude Luigi Saravo.