A Bergamo dal 15 novembre all’1 dicembre 2024
Sarà l’edizione n. 10 quella del festival Donizetti Opera 2024 che, in coincidenza con l’inaugurazione 2023, svela al proprio pubblico i titoli principali che saranno in scena a Bergamo “Città di Gaetano Donizetti” il prossimo anno, dal 15 novembre all’1 dicembre.
Inaugurazione venerdì 15 novembre al Teatro Donizetti con uno dei grandi capolavori seri cioè Roberto Devereux (repliche domenica 24 e giovedì 28 novembre)tragedia lirica su libretto di Salvadore Cammarano nell’edizione critica a cura di Julia Lockhart per Casa Ricordi nell’ambito dell’Edizione Nazionale realizzata con la collaborazione e il contributo del Comune di Bergamo e della Fondazione Teatro Donizetti.
Quindi sabato 16 novembre al Teatro Sociale, per il ciclo #donizetti200, Zoraida di Granata (repliche sabato 23 novembre e domenica 1° dicembre) melodramma eroico su libretto di Bartolomeo Merelli e Jacopo Ferretti nell’edizione critica a cura di Edoardo Cavalli per la Fondazione Teatro Donizetti.
Infine domenica 17 novembre, di nuovo al Teatro Donizetti, uno dei titoli più famosi, pagina della maturità del compositore, Don Pasquale (repliche domenica 22 e sabato 30 novembre) dramma buffo di Giovanni Ruffini e lo stesso Donizetti che sarà presentato nella nuova edizione critica a cura di Roger Parker e Gabriele Dotto per Casa Ricordi, realizzata sempre nell’ambito dell’Edizione Nazionale.
Un programma di rilievo per il traguardo del decimo anno di programmazione del festival internazionale dedicato al compositore bergamasco, organizzato dalla Fondazione Teatro Donizetti presieduta da Giorgio Berta con la direzione generale di Massimo Boffelli, la direzione artistica di Francesco Micheli e quella musicale di Riccardo Frizza.
Sin da ora è possibile prenotare i carnet su gaetanodonizetti.org
È Paolo Fabbri, direttore dell’Area Scientifica del festival Donizetti Opera a introdurre le tre opere in programma nel 2024: «Come Elisir, come Lucia, Don Pasquale non ha mai smesso di essere rappresentato, dal 1843 quando nacque. Un capolavoro evergreen dell’ultima stagione creativa di Donizetti. A quell’epoca non è che se ne contassero poi tanti, in ambito comico. Anzi, era proprio il genere dell’opera comica ad essere in crisi. Bellini, ad esempio, non aveva scritto nessuna opera davvero di quel tipo. Verdi ne compose giusto una, a inizio carriera (Un giorno di regno, 1840).Il pubblico del pieno Ottocento era diventato serioso? Aveva capito, in quella prima Modernità, che lo attendevano tempi in cui c’era poco da ridere? Si divertiva di più a versar lacrime, piuttosto che farsi una bella risata? Di opere comiche come da tradizione, e di successo, Donizetti ne aveva scritte: talvolta le aveva insaporite con una punta di sentimentalismo. Don Pasquale va oltre, verso una commedia da camera il cui protagonista sfiora a tratti la caricatura, ma ne resta quasi sempre al di qua. Delle fregole amorose di un anziano per una giovane, per secoli si era riso: Ruffini e Donizetti preferirono sorriderne con malinconia, anche perché il compositore ‒ come sappiamo dalla sua biografia ‒ stava sorridendo di sé stesso.
In guardia però dal collegare meccanicamente vita e opere. In Roberto Devereux (1837), l’ultima tappa della saga noir che negli anni Donizetti dedicò alla dinastia Tudor, niente lascia trasparire la sua tragedia personale (la morte prematura della moglie, il 30 luglio 1837, in piena fase compositiva). Piuttosto, vi troviamo sperimentazioni drammaturgiche e formali che proseguivano i suoi tragitti creativi con ancor maggiore sottigliezza e forza espressiva.
Il progetto Donizetti 200 tocca quest’anno Zoraida di Granata: o meglio, la sua seconda versione (1824), dato che la prima era andata in scena nel 1822: con successo, nonostante le traversie che l’avevano accompagnata. Riprendendola nel 1824, si provvide ad adattarla alla nuova compagnia di canto. A Stendhal, che si trovava a Roma, l’opera non piacque per niente (il suo cuore batteva solo per Cimarosa e per il Tancredi di Rossini): anzi, non gli piacque neppure Donizetti come persona. Decisamente quella volta lo scrittore non fu vittima della ‘sindrome di Stendhal’. Giudichiamo noi, due secoli dopo, se avesse proprio ragione».